Angeli minori by Antoine Volodine

Angeli minori by Antoine Volodine

autore:Antoine Volodine [Volodine, Antoine]
La lingua: ita
Format: epub
editore: L'orma editore
pubblicato: 2017-01-01T21:00:00+00:00


26. YASAR DONDOG

E non solo, quella che pretende di essere la psicoterapeuta di Evon Zwogg se la cava lasciandolo per ore davanti a una sorta di test composto da fotografie in bianco e nero sparpagliate sulla tavola levigata, sempre identiche, sempre gli stessi prevedibili scatti, e poi se ne sale al piano superiore dove c’è il Centro educativo di cui si occupa.

«Torno subito, Zwogg» dice. «Non uscire.»

Dal soffitto se ne sentono i passi irregolari, qualcuno sposta un blocco di cemento, una cassa. Dopo, regna la calma.

La città è immobile dietro le finestre senza vetri. Quan­do soffia il vento, una polvere rossastra forma sul terreno screziature effimere, come sul pianeta Marte, stando a quel che si dice. Spesso il cielo è così abbagliante da perdere ogni colore. Nubi di rondini volteggiano vertiginose fra gli edifici del Kanal. Bisticciano con grida stridule quasi per tre quarti d’ora, poi di colpo se ne vanno. Nella stanza ritorna il silenzio. Evon Zwogg armeggia con le fotografie che conosce a memoria, tanto più che si tratta di otto stampe dello stesso negativo che si differenziano soltanto per come sono contrastate. Di tanto in tanto, colei che pretende di saper guarire i pazzi scende dal piano di sopra, apre la porta, chiede a Zwogg se ha qualcosa da dire a proposito delle fotografie. Zwogg alza le spalle. La donna aspetta un minuto, poi richiude la porta e risale. È bella, di quella bellezza delicatamente astratta che possiedono la maggior parte delle cinesi. Veste sportiva, pantaloni slavati, giacca di jeans e t-shirt nera. Prima di chiudere la porta, promette di tornare presto.

Se non sono inseguite da rondini e il vento è debole, allora dalla finestra entrano delle libellule. A causa della forte luminosità del cielo, non sempre si può ammirarne la grazia. Diciamo che sono spesso di un blu che tende al turchese. Alcune fremono trovandosi davanti a Evon Zwogg e sopra alle fotografie. Capita che per noia Evon Zwogg ne acchiappi una e la mangi.

È poco dopo, quel giorno, che entro nella stanza quasi vuota dove Evon Zwogg sta fantasticando, e, quando dico io, penso soprattutto a Yasar Dondog, tanto vale dirlo subito chiaramente. Mi siedo accanto a lui, fra la polvere dei mattoni, fra la ruggine marziana, in mezzo a resti di libellule. Facciamo conoscenza. Dopo un momento gli parlo di Maggy Kwong.

«La psicologa? Vivi con lei?» si stupisce Evon Zwogg.

«No» dico. «Non con lei. Quella è Sarah Kwong. Vivo con sua sorella, Maggy. Vendiamo verdure al mercato.»

Rassicurato, Evon Zwogg mescola le fotografie che gli stanno di fronte, ne sceglie una e vi appoggia sopra il dito bagnato di sudore.

«Vedi questa vecchia foto? Qui c’è mio nonno.»

Mi curvo sul tavolo. Sul cartoncino danneggiato si vede un paesaggio innevato, una ferrovia in lontananza, poi tre uomini malridotti, due in abiti civili e l’altro in divisa militare che li minaccia senza convinzione con un coltello. L’immagine può essere stata scattata in qualsiasi epoca o luogo.

«Qual è?»

«Qual è cosa?» sussulta Evon Zwogg.

«Tuo nonno. Dei tre, qual è?»

Evon Zwogg assume un’aria imbronciata.



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